Lesson number two
Quando indossi un abito, a volte, c’è dentro un grande pensiero.
A Parigi lo definiscono il “sarto del vento“. Sarà per questo che i vestiti di Issey Miyake corrono addosso senza fermarsi sul corpo. Senza neppure arrestare il tempo. Che macina mode e colori. Sarà che è nato ad Hiroshima. Aveva sette anni quando la bomba venne sganciata: «Chiusi gli occhi ma continuavo a vedere una violenta luce rossa, poi una nuvola scura, e la gente che correva in ogni direzione tentando disperatamente di fuggire. Mi ricordo tutto. Tre anni dopo, mia madre morì per esposizione alle radiazioni. Non ho mai condiviso queste memorie fino a oggi, ho tentato di tenerle dentro di me, preferendo pensare a ciò che può essere creato piuttosto che distrutto, e ciò porta gioia e bellezza. Se ho cominciato a occuparmi di design di abiti è stato in parte anche per questo. Ma ho sempre cercato di non essere definito dal mio passato: non voglio essere etichettato come il designer che è sopravvissuto alla Bomba». Sarà che nonostante questo il suo nome significa vita. Di fatto il suo stile è l’esatto fluire del pensiero, increspato sovente come i suoi foulards.
Nle 1982 un vestito di Miyake diventava la copertina di Artforum, definendo per la prima volta un abito una vera opera d’arte.
Ieri mi hanno invitata a vedere alcuni suoi abiti collocati come sculture all’interno di Studio 40, uno spazio espositivo appena nato a Bologna, nel polo economico del Centergross,  con l’intento di coniugare cultura e moda.  Madrina del progetto l’imprenditrice Giovanna Guglielmi.

 
*Intervista rilasciata dallo stilista al New York Times, per la prima volta a 71 anni ha parlato pubblicamente di questa esperienza 
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