L’attesa è una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio, la realizzazione dell’attesa è una freccia che oltrepassa il bersaglio. 
Sören Kierkegaard

In un pomeriggio fra me e me si è creata all’improvviso l’attesa. Di quello che avrei potuto fare, o diventare. Ancora. L’attesa di un istante impazzito, per poter dire, fare, baciare, lettera o testamento. 
Un momento perfetto, lo scarto tra l’istante della ragione e il successivo attimo in cui lo dimentichi. E la tua piccola, minuta, follia avanza. Si fa strada. Giusto per dire “ci sono anch’io”. 

Io e Luciano Bianciardi (il libro che sto leggendo è La vita agra) lo sappiamo che nel mondo di oggi bisogna “muoversi, scarpinare, scattare. Fare polvere, una nube di polvere e poi nascondercisi dentro”. Le persone che qualche volta si fermano, guardano, aspettano, si voltano, ascoltano quelle sì che sembrano strane. 

Nell’attesa ci ho pensato. Poi mi sono alzata e ho letto la panchina. E leggere la panchina è stato un gesto differente. Così quell’attimo è arrivato. In forma di ricordo. Di quando anch’io scrivevo “Antonio ti amo” sul retro dei seggiolini dell’autobus scolastico. Ma lui era uno di quinta, impegnato e faceva politica. Neanche lo ricordavo più l’Antonio. E tornata a casa ho cercato quel libro di Vitaliano Brancati che le mie amiche mi avevano regalato al compleanno. “Il bell’Antonio” era il titolo del romanzo e dentro, sopra la prima pagina bianca,  sono nitide le firme di una scuola fa. Con i cuoricini, le stelle, le allusioni sessuali. 

Vi lascio alle attese del pittore statunitense Edward Hopper. Così, tanto per chiudere un discorso. Che si è fatta una certa ora.

Ma non senza prima chiedervi quale è la vostra attesa. Perché io metto in palio un regalo e voi mi regalate una storia.  

Stay tuned!
Edward Hopper dal 12 al 16 settembre al Museo d’arte Thyssen di Madrid


Questo quadro si intitola proprio L’attesa