Ha vent’anni e un fisico da modella. Tuttavia l’immediato futuro lo vede all’Istituto Marangoni di Milano, dove inizierà quest’anno il suo percorso formativo per diventare stilista. Arianna Parini mi piace davvero tanto. Ho visto un abito da lei disegnato durante una sfilata scolastica di fine anno, è stato un coup de foudre. Un incantamento. Un ricordo netto di Picnic a Hanging Rock, fra suggestioni irreali e sguardi di pietra. “Oggi la moda è ripetitiva ed eccessiva, io sono legata al passato. La mia ricerca parte a ritroso, sfoglio i vecchi giornali, traggo ispirazioni, ritaglio, ragiono” 
Dunque, tanto per allinearci, quali sono i tuoi stilisti preferiti? “Prada, Balmain, Rick Owens, Armani”. Concettuali, insomma. “Vero. Amo le asimmetrie, la prevalenza del nero, che è il mio colore preferito, amo il rapporto con le sarte. Mi piacciono soprattutto le morbidezze minimali di certi abiti, che accompagnano le forme e non le strozzano”. I sì e i no che dobbiamo seguire. “No ai colori fluo, al tutto militare, no alle catene sugli abiti, ai teschi che non sopporto più. Sì invece ai colori caldi, ai giochi cromatici, al nero e al blu, alle scarpe basse, alle stampe geometriche rivisitate degli anni ’60. Sì anche al floreale, alla seta, al voile” . Disegneresti un abito per le debuttanti? “Non credo, non mi convince l’effetto bomboniera. Se me lo chiedessero farei un vestito lungo fino ai piedi, più corto sul davanti e con strascico dietro, di seta opaca arricchito da inserimenti di velo”. Hai realizzato qualcosa recentemente? “L’abito da sposa di mia sorella, l’ho cucito io stessa”. Il vestito giusto per una ragazza intellettuale? “Pantaloni larghi, scarpa bassa leggermente a punta, camicia bianca con scollo rotondo e maniche larghe”. Lo stile COS mi pare. “Sì, mi piace tantissimo”. Ma disegnare modelli ti è sempre piaciuto? “Moltissimo, da piccola cucivo gli abiti alle bambole, mia madre mi regalò una scatola da cucito morbida per riporre fili, forbici, aghi e metro. Aveva già capito”. La conversazione è finita e ci salutiamo. Di lei mi resterà un cappello, che vi farò vedere in un prossimo post. Ma anche la sensazione di aver adocchiato un giovane talento.