Si muove nell’ambito dei colori, Arvedo Arvedi, classe 1964, nobili origini e una folgorazione nel 1993 verso la pop art americana. “Dipingo anche per far felici le persone, se un mio quadro smuove un sorriso io sono contento”.

Sarà per questo che le cromie si incrociano illuminando, che le ambiguità si snodano fra linee di fuoco brillanti, che il bene e il male scivolano comunque nella chiarezza. Non ci sono vortici che inchiodano, né gabbie dalle quali è impossibile uscire. Se nel quadro ti ci butti dentro puoi nuotare come nel mare aperto. E incontrare, magari, proprio uno di quei pesciolini Icupe che sono la cifra del suo lavoro. “Li ho trovati all’Ikea e ho dato loro una dimensione diversa, quella della realtà. Del vero perché rappresentano l’umanità.”

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A Roma, nella splendida cornice della Galleria Angelica, si è appena conclusa la mostra Imago Mundi, una personale dell’artista veronese ricca di opere dalle tecniche più disparate. Compresa la Shadow che si rifà appunto alla Street Art moderna con l’uso di bombolette spray dai colori sgargianti: “Spesso abbino questa tecnica con altre per aumentare l’effetto tridimensionale e congiungere il reale al ricordo”. Ma anche la tecnica Plaster, curiosa perché si utilizza gesso alabastrino, colla e acqua: “creando una specie di malta che distendo con le mani direttamente sul quadro. Il risultato è un morbido bassorilievo che al tatto sembra quasi di velluto”.

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Ma a proposito di stoffe e di velluti, il collante tra arte e moda lo ha dato proprio la serie limitata di pashmine prodotta da Michele Espisto del Laboratorio Capri sulle opere di Arvedi. Un misto tra seta e cachemire per indossare un’opera e fruirne in tutta la sua bellezza. In un continuo di rimandi, dove le stoffe ritornano nell’opera con la tecnica ChromoLab Capri, grazie all’inserimento dei ritagli che diventano  isole.

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