di Alberto Gross

Una difesa contro la volgarità del proprio tempo ed una moltiplicazione sesquipedale della medesima, un rifugio per l’impertinente grazia degli intellettuali e l’affievolirsi opaco degli ingegni esclusivi, la dispiegata eleganza del più fine sibaritismo e l’oscuro abisso d’ogni supposta idea di convivio: doppiezze d’aspetti, contraddizioni, antinomie da sempre coerenti con l’immagine di “salotto”, capricciosa forma di metonimia che sfugge a precise volontà di identificazione estetica, etica o politica.
L’immaginario visivo costruito dagli artisti, attraverso i secoli, è pressoché sconfinato e volendone ripercorrere alcune tappe significative – invocando fin da ora perdono per il pallore e la velocità con cui tratteremo argomenti immensi – non si può tralasciare la pittura antica e l’intero suo corredo iconico riferito all’attività del simposio. Momento centrale della vita sociale e culturale greca in cui esponenti di una medesima eterìa si riunivano conversando degli argomenti più disparati, divorando improbabili quantità di cibo e umettando il tutto con ettolitri di vino di Chio o di Nasso. (Chi desiderasse approfondire le tempistiche e la natura dei rinfreschi serviti durante tali “salotti alla greca” troverà piena soddisfazione nei frammenti dei “Deipnosofisti” di Ateneo di Naucrati, brillante nella tracotante dovizia di particolari al cospetto della quale anche Petronio ed il suo Trimalcione sbiancherebbero).

Il salotto di Patrizia Finucci Gallo.

Per un ipotesi di conversazione sul simposio antico

Il salotto di Patrizia Finucci Gallo

La pittura vascolare a figure rosse – ancora più elegante e precisa di quella a figure nere – non si limita alla rappresentazione dell’immagine “salottiera”, ma tende ad intrecciare piano visivo e piano sonoro cercando di restituire, per intera, l’essenza del simposio in cui poesia e canto costituivano momenti fondamentali. Gli strumenti adottati per raggiungere tale icasticità immersiva sono le iscrizioni – ora onomatopeiche, ora realmente significanti – lasciate scorrere accanto alle labbra del personaggio identificato come poeta dallo strumento che porta in mano o dal ramo di mirto: una commistione di immagine e parola che riconduce alla nascita del fumetto moderno. A volte l’iscrizione può essere riferita ad un’immagine esterna a quella rappresentata ( “Damas è bello” che si inserisce tra i profili di Saffo e Alceo nel vaso del pittore di Brygos): siamo al fuori campo del narratore eterodiegetico, per dirla con Genette, in cui la sinuosità delle parole che seguono le linee contribuisce al dinamismo già cinematografico dell’immagine. Molto frequenti le invocazioni agli dèi che ricordano il carattere strettamente rituale del simposio: si brinda alla divinità e con la divinità, in un alternarsi di libagioni, kylikes al vento, vino stanato e sapientemente versato e miscelato secondo le direttive del simposiarca. Immagini che, circa duemila anni più tardi, ritroveremo in Hogarth, Jeaurat, de Troy. Oltremodo gravoso sarebbe – ad ogni buon conto – il trattarne ora.

Alla prossima puntata, con il salotto di Patrizia Finucci Gallo. Ricordando di non accontentarsi di un solo disastro, se si può tendere alla catastrofe.