• PATRIZIA FINUCCI GALLO

 

Si chiama Dress Code Rosso Sangue l’ultimo noir della scrittrice Marina Di Guardo, ambientato nel mondo della moda milanese.

Uno scarto rispetto agli altri libri dell’autrice, che ci proietta immediatamente nella ferocia analizzando l’atto violento per quello che è: la banalità del male, per dirla alla Hannah Arendt. I personaggi sono analizzati in profondità, disegnati nella loro vita quotidiana, schermati da ombre dolorose. La famiglia, la carriera, la rabbia, la solitudine, l’incomprensione, il fil rouge è sempre l’elemento psicologico mancante. Vuoi per una famiglia oppressiva, vuoi per un ambiente lavorativo inadeguato, vuoi per un rapporto che non decolla. Una chiave di interpretazione nella quale il lettore può riconoscersi.

Sono stata felice di presentare questo nuovo romanzo, in prima battuta alla librerie Coop Ambasciatori di Bologna e il giorno dopo in forma privata al mio Salotto che si è svolto nei locali dell’Hotel Il Guercino. Ecco un estratto dell’intervista, per capirne di più del libro ma anche della persona.  Buona lettura.

 

marina di guardo, il salotto di patrizia finucci gallo, patrizia finucci gallo

 

Dress code rosso sangue è ambientato nel mondo della moda milanese, fra luci, lustrini e anche tante ombre. La protagonista è una ragazza di 25 anni, si chiama Cecilia Carboni, è laureata in giurisprudenza ed è la narratrice della storia. La sua vita è complessa, la sua infanzia è stata complicata, il padre Alberto voleva per lei una carriera di avvocato, la madre assente era impegnata nella sua piccola mondanità. Quando le si presenta l’occasione di lavorare nello show room di un importante stilista accetta al volo e qui ha inizio un’avventura per lei non del tutto luccicante.

E’ vero, questo è un thriller dai risvolti noir che inizia con un colpo di scena importante, che ci fa entrare immediatamente dentro la scena del delitto. Ho scelto questo attacco così forte perché volevo subito l’attenzione del lettore, un prologo d’effetto ambientato in un cascinale in rovina che gli abitanti dei dintorni conoscono bene perché si svolgono riti di messa nera. Questo libro nasce da un soggetto che mi avevano commissionato, l’avevo sceneggiato in trenta pagine e così l’ho scritto di getto in sei mesi, durante la pandemia, ho messo il turbo”.

Tu fai riflettere la protagonista su quanto può essere pericoloso la fascinazione del male.

Non mi piace raccontare semplicemente una storia che ha i contorni misteriosi e basta, voglio una fotografia del male, e cerco di capire perché accadono storie così drammatiche. Voglio indagare, nei miei romanzi. Scavare negli animi dei personaggi e capire perché hanno scelto quella soluzione pur avendone tante altre a disposizione”.

Il mondo della moda tu lo conosci bene, sei stata vicedirettrice dello show room di Blumarine. Quanto hai attinto da quella esperienza per raccontare l’entourage di Cecilia, quel mondo pieno di luci e ombre, la figura dello stilista ucciso, la fragilità o l’arroganza di certi personaggi, la trasformazione di un ambiente da ricco e possessivo a sordido? In ogni libro c’è qualcosa di autobiografico, e forse in questo più degli altri. Mi pare, ma correggimi se sbaglio, che tu sia andata a scavare nel profondo: dentro la moda e dentro l’anima. E’ un thriller, ma delinea molto bene alcune situazioni psicologiche in cui tutti noi potremmo incorrere.

Sì, il romanzo è in parte autobiografico, c’è molto di me. Mi è piaciuto delineare il personaggio di Cecilia: mi ricorda la Marina di allora, quando lavoravo in Blumarine, un ambiente bello e molto vario. Ma mi sono tuffata in quel mondo con un occhio alla contemporaneità, perché molte cose sono cambiate, negli ultimi anni”.

Cecilia è nata, dicevamo, in una famiglia costrittiva e soffocante, con un padre pronto a sottolineare l’errore, il guaio, te l’avevo detto che sarebbe finita così, lo sapevo… Si fa fatica a rifuggere da una famiglia tossica…

La possibile tossicità della famiglia è uno dei temi che spesso tratto nei miei romanzi: quanto la famiglia possa farci volare altissimo o precipitare nel profondo degli abissi. Dovrebbe essere una sorta di comfort zone che ci fortifica e ci fa sentire protetti, dove già nella nostra infanzia e poi nell’adolescenza possiamo esprimerci al meglio, cercare e individuare i nostri percorsi creativi. Capita, al contrario, che proprio questi primi anni siano mortificanti, che non veniamo accettati per quello che siamo e ci adattiamo in uno schema predefinito perché ci sentiamo inadeguati, non siamo mai abbastanza. Questa percezione, quel bambino rimasto nell’angolo, finirà per accompagnarci sempre, per tutto il resto della vita”.

Ci stupirai mai con un romanzo sentimentale tipo Harmony?

No di sicuro. Mi hanno chiesto di scrivere una fiaba e l’ho fatto. Ma niente storie d’amore a lieto fine.”

La dedica è abbastanza stupefacente.

Mi fa piacere. Ci ho pensato a lungo, poi ho deciso. Agli uomini che mi hanno deluso e a quello che mi sorprenderà”.

Foto di Alessandro Turrino

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Boarini Milanesi al salotto di Patrizia Finucci Gallo