Si chiama Balloon l’opera di Pawel Althamer, un gigantesco pallone aereostatico lungo più di venti metri. L’autoritratto dell’artista polacco, nato a Varsavia nel 1967, si impone all’ingresso della mostra “8 ½” organizzata dalla Fondazione Trussardi per celebrare i cento anni del gruppo. Tredici artisti internazionali sono riuniti fino al 6 febbraio, nel ventre della vecchia stazione Leopolda a Firenze, in una mostra che ha aperto le porte al grande gioco di squadra Pitti Immagine. Così in una cornice di lustri e lustrini il self-portrait di nylon, poliestere ed elio, ci spara la concezione grottesca dell’ego, riportandoci in mezzo alle vere fragilità: umane inquietudini per l’uomo, crisi di mercato per i produttori. Si potrebbe ipotizzare un monito del curatore, Massimiliano Gioni anch’esso bello ed elegante, che pare voglia riportarci alla fiera del disincanto: con Static di Paul McCarty (un George W. Bush intento a sodomizzare un porcello rosa shocking), con We di Maurizio Cattelan (autoritratto anch’esso, ma moltiplicato per due, i corpi distesi sul letto che paiono morti pur con gli occhi aperti verso noi che li guardiamo), con Paola Pivi e la sua idea del mondo governato dalle leggi dell’assurdo. Una bella boccata d’aria, uno spiazzamento continuo. In un sistema sociale che pare cucito e confezionato su misura dell’individuo e che invece si strappa come un abito troppo stretto.
Paul McCarthy “Static”
Maurizio Cattelan “We”
Paola Pivi “100 cinesi”

Ps. Unico problema, in quel rosario di corpi nudi non sapevo dove fotografare la candida Anna WinMarpol. Ho dovuto metterla di spalle davanti al Balloon di Althamer.

Anna WinMarpol davanti a “Long Sorrow” di Anri Sala



Anna WinMarpol




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