Are you a poet? Etro dice di sì
Io sì un po’ lo sono. E voi? Come migliaia di altri italiani che scrivono le proprie emozioni, come i grandi poeti del passato, come la beat generation o la generazione del dopoguerra, come i tagli di Ingeborg Bachmann, le cantilene delle nonne del sud, atroci come l’ironia di Patrizia Valduga o strazianti come i versi di Salvatore Quasimodo. Insomma siamo tanti fibrillatori di parole. Un popolo di ammiccanti ai cuori altrui, vigili a giorni alterni, dagli sguardi trasversali sulla vita. Gente che crede ai sogni, anche quando i sogni sembrano film dentro uno schermo chiuso.
“Se una persona crede in quello che fa prima o poi quell’energia ritorna indietro”, dice Alan Borguet, capelli scompigliati, occhi da Modigliani e una professione, quella del pittore, che sulla carta di identità sa più di flaneur che di lavoratore. Ma Etro, azienda ad ampio respiro culturale che con l’arte ha un legame profondo, ha visto in lui qualcosa di nuovo da comunicare. In lui come negli altri dieci giovanissimi ragazzi, uniti in un cerchio immaginario, ognuno con le sue competenze. Ognuno con le proprie aspettative.
È il Circolo dei poeti, preso in toto dalla maison e collocato fra le luci soffuse della moda. La storia è quasi da “quattro amici al bar”, ma nella zona ricca di Brera, quella degli artisti e dei bohémiens, un incontro fortuito e una scintilla accesa. “In una città cosmopolita, ricca di realtà contrastanti e basata sulla frivola apparenza, ogni disciplina legata all’arte deve riproporsi, senza rinnegare il passato, partendo con entusiasmo dal principio che essa possa ancora esercitare innovazione”, spiega Borguet. Ma la vera chiave sta nella fortuna. “Incontrare Etro ha fatto sì che i nostri sogni si trasformassero in realtà e le nostre arti in professione. Qui, nel punto vendita Etro, in occasione del Fuorisalone ho venduto diversi miei lavori”.
E dall’incontro è nato anche il Manifesto del Circolo dei poeti, come quello futurista di Marinetti, con lo spirito veloce dei nostri tempi e la lunga introspezione del dopo ‘900. Più passaggi generazionali per vedere che l’anima Bauhaus è radicata e regna ancora in noi. Se non è felicità questa.