• SIMONA PARESCHI

La Mano destra di Artemisia Gentileschi che tiene un pennello, nel disegno di Pierre Dumonstier esposto al British Museum, esprime la grazia e la fermezza dell’artista e ci aiuta a portare l’attenzione sull’essenza di Artemisia: una grande donna di talento. Il movimento, in questo disegno, sembra essere quello di una mano che dirige un’orchestra; con eleganza.

Dedizione e perseveranza, ardore e ispirazione, resistenza alla pubblica gogna e alla tortura – pare di sentirli, i vecchioni censori: te la sei cercata! Com’eri vestita?! – prevaricazione e giudizio, emancipazione e valore morale: elementi molto distanti tra loro che Artemisia ha saputo accordare, coraggiosa e tenace, nella sua vita di donna e di artista.

Figlia di un importante pittore caravaggesco, Orazio Gentileschi, Artemisia era cresciuta circondata da committenti facoltosi e colti, quelli del padre; il giovane animo artistico venne, così, presto sollecitato e il suo talento riconosciuto dal genitore, che la accolse in bottega. Artemisia conosceva i rudimenti della musica e si dilettava nella scrittura: aveva mente aperta e spirito brillante”, come si legge in una missiva, a lei indirizzata, di Galileo Galilei.

Si erano conosciuti durante il periodo fiorentino della pittrice, periodo in cui conobbe Michelangelo Buonarroti il Giovane, letterato e nipote del più noto artista, che le commissionò una Allegoria dell’Inclinazione (ora appena restaurato e visibile nella mostra Artemisia Gentileschi, coraggio e passione che si tiene a Genova, a Palazzo Ducale, fino al 1° aprile 2024). La figura è un suo autoritratto, così come nella sua Allegoria della pittura, e il movimento dei corpi ritratti è in drammatica torsione, come le colonne tortili caratteristiche del suo tempo.

una mostra a Genova su Arthemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi Allegoria dell’Inclinazione 1615-1616 Olio su tela, 158×85 cm Firenze, Casa Buonarroti

Artemisia Gentileschi in mostra a Genova fino al 1 aprile a Palazzo Ducale

Artemisia usava spesso sé stessa come modello per i suoi quadri, perché non era facile per una donna trovare modelle disposte a posare o avere denari sufficienti per pagarle. Insieme a questa tela, esposti nella mostra, vi sono molti soggetti femminili, mitologici e sacri, alcuni dei quali riproposti in tele dipinte in periodi diversi della sua vita; la conversione della Maddalena, l’Annunciazione, Sansone e Dalila, La morte di Cleopatra, Paolo e Francesca, Betsabea al bagno, Susanna e i Vecchioni.

Tra miscele di pigmenti colorati – aveva imparato bene come si compone il giallo o il blu – e stesure di colore ricche di dettagli, è la candela accesa nel dipinto che illumina Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne che denuncia chiaramente il riferimento a Caravaggio e il suo studio meticoloso della luce come elemento generatore di tridimensionalità. E di afflato spirituale. E di speranza, mista a riscossa. Nella Roma violenta del ‘600, alle risse, le aggressioni criminali, la prostituzione, i mendicanti e i diseredati – quelli che Caravaggio amava usare come modelli per i suoi quadri, con grande sdegno del papato – si intrecciavano il libertinismo, il lusso e gli sfarzi dei palazzi nobiliari. Una perla scaramazza, la Barrueca, diede il nome al barocco. Irregolare e bizzarro, secondo Francesco Milizia che così lo chiamò nel tardo ‘700, in cui soluzioni ardite in architettura e nuovi canoni pittorici, armonie cromatiche, ori, sperimentazioni prospettiche, forme fluenti e sinuose, fasto e magnificenza si uniscono in una complicata ricerca, anche spirituale, di novità, nei materiali, nei colori e nella luce.

Artemisia si liberò dalla violenza romana – quella che la circondava e che ha subito – segnando un percorso di vita e di arte molto intenso: lavorò a Firenze presso la corte di Cosimo II, sostando a Napoli per dipingere per il viceré spagnolo, visitando Genova per importanti commissioni della famiglia Sauli e Doria, e approdando in Inghilterra, a Londra, presso la corte di Carlo I per intercessione del padre Orazio. Tornò, infine, a Napoli.

Artemisia non è certo stata la prima pittrice, ma sicuramente la prima ad essere ammessa all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze. Già Plinio raccontava di pittrici figlie d’arte nell’antica Grecia: Timarete figlia di Mikon e Eirene figlia di Kratinos, non sarebbero state libere, altrimenti, di dedicarsi all’arte se non come diletto. Le pittrici Arcangela Paladini, Annella De Rosa (uccisa dal marito!), Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Plautilla Bricci “l‘Architettora” e Rosalba Carriera, sono solo parte di un lunghissimo elenco di donne eccellenti; a queste si deve aggiungere Elisabetta Sirani, pittrice anch’essa, che fu la fondatrice nel ‘600 dell’Accademia delle Donne – a sottolineare una necessità evidente: se non ci vogliono nelle loro scuole d‘arte, ce ne facciamo una da sole. Elisabetta Sirani veniva lodata (se così si può dire) dal suo critico e mentore Carlo Cesare Malvasia perché nella sua pittura “ebbe del virile e del grande”.

Persino Anna Banti (il cui vero nome era Lucia Lopresti) autrice dell’importante romanzo dedicato ad Artemisia scriveva sotto pseudonimo per affrancarsi dall’ombra lunga del celebre consorte, Roberto Longhi. La storia di Artemisia è avvincente non tanto per gli accadimenti traumatici della sua vita, che la rendono soltanto una vittima, e che mettono in secondo piano le sue qualità di artista: non dovrebbe interessare lo scandalo – né tantomeno la spettacolarizzazione e il voyerismo che esso suscita. Non serve immaginare la stanza in cui una violenza ha avuto luogo, né ascoltarne le memorie.

L’oltraggio, l’offesa, il clamore più grande, è stato – ed è ancora – l’idea che una donna fosse così brava da potersi dire pari a un uomo: il che, forse, è stato il vero movente della violenza da parte di un bruto, un altro pittore, alla bottega del padre Orazio. Era stata tacciata di condotta peccaminosa e deplorevole: in verità, perché aveva avuto il coraggio di denunciare una terribile sopraffazione. La libertà è scandalo, il talento anche, soprattutto se mette in ombra un uomo. Soprattutto, se l’ombra nasce dallo spazio che una donna si prende.

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Sofonisba Anguissola Autoritratto 1558 Olio su carta applicata su tavola, 25,6×19,3 cm Roma, Fondazione Palazzo Colonna, Appartamento della principessa Isabelle, Sala della Fontana

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Artemisia Gentileschi Maddalena 1630-1635 Olio su tela, 108×78,5 cm Beirut (Libano), Sursock Palace Collection

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Elisabetta Sirani Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno 1659 Olio su tela, 228×174,5 cm Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

17_Santa Cecilia suona la spinetta e un angelo

Orazio Gentileschi Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo 1615-1621 Olio su tela, 90×105 cm Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Artemisia Gentileschi Susanna e i vecchioni 1610 Olio su tela, 170x119 cm © Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönbor

Artemisia Gentileschi Susanna e i vecchioni 1610 Olio su tela, 170×119 cm © Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönbor

1890 8557

Artemisia Gentileschi Minerva 1635 circa Olio su tela, 131×103 cm Firenze, Gallerie degli Uffizi

 

*FOTO GENTILMENTE FORNITE DALL’UFFICIO STAMPA DI ARTHEMISIA

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