• ROBERTO DI CARO

Impeccabile, per una volta ci sbilanciamo senza remore, la messa in scena al Comunale Nouveau di Bologna, dal 16 al 21 marzo, di quella vetta del teatro musicale che è Dido and Aeneas di Henry Purcell, rappresentato per la prima volta nel 1689 a Londra in un convitto per giovani gentildonne: qui in dittico con I sette peccati capitali di Kurt Weill (di cui diremo fra poco, con minor entusiasmo e qualche perplessità). Seicento e Novecento a specchio, in un gioco di rimandi ben pensato, affatto improvvisato, giocato invece con cognizione di causa a partire dalla scenografia primonovecentesca del lavoro seicentesco, segni essenziali ma forti, quasi come in una allucinazione o in una rappresentazione mistica. Per la regìa di Daniele Abbado, scene di Angelo Linzalata, costumi di Giada Masi, coreografie di Simona Bucci, maestro del coro Gea Garatti Ansini. Con l’elegante e puntuale direzione d’orchestra di Marco Angius e l’eccellente interpretazione di Danielle de Niese-Didone, Francesco Salvadori-Enea, Mariam Battistelli-Belinda e del resto del cast. Insomma, a pieni voti.

L’amore che si insinua nell’animo della regina di Cartagine, la ragion di Stato, il destino deciso dagli dei, da ultimo l’abbandono e la morte: tutto questo, dalla storia narrata nell’Eneide, la musica di Purcell e il libretto di Nahum Tate indagano in un’opera di esemplare pulizia formale, scevra di ridondanze. Ma anche l’inganno, la malevolenza e la voglia di distruzione: in scena le streghe che cantano «il male è la nostra gioia, il misfatto la nostra arte», oggi sui social gli haters, nelle parole del regista Daniele Abbado. Fuori ordinanza ma azzeccata anche la scelta di integrare i vuoti della partitura (l’opera è incompiuta e a noi è giunta in due trascrizioni successive entrambe monche) con brani dai Cori di Didone composti nel ’58 da Luciano Berio su testi di Ungaretti e da Okanagon di Giacinto Scelsi del ’68. (segue dopo le immagini).

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Meno efficace, per coreografia e scenografia, un tono sotto quanto la musica di Kurt Weill e il testo di Bertolt Brecht consentissero, è stata forse, almeno a parere di chi scrive, la messa in scena di Die Sieben Todsünde ovvero I sette peccati capitali. Come più compìta del dovuto, vizi all’acqua di rose o, per dirla con un direttore d’orchestra a cena nel dopoteatro, «peccati capitali poco peccaminosi». Con l’effetto di depotenziare un “balletto con canto” nato come denuncia: peccati per la Chiesa, strutture fondanti del capitalismo, fattori di corruzione per gli esseri umani. Sul palcoscenico s’è visto, sì, uno sprazzo di cabaret Repubblica di Weimar, giusto, il lavoro è del 1933, scritto e composto dopo la fuga di Brecht e Weill dalla Germania appena caduta nelle mani di Hitler, la prima il 7 giugno a Parigi. Quanto alla scena successiva, sarà che il circo lo si vede un po’ troppo spesso all’Opera, per esigenze di libretto o per scelte registiche di comodo, ma visto che l’azione si svolge in America magari si poteva giocare, che so, sul burlesque, creatura americana quant’altre mai, studiata e raccontata nei resoconti di quasi tutti i letterati italiani ed europei che in quei decenni e nei successivi visitavano il Nuovo Mondo.

Bene comunque la scelta, Weill merita sempre, a dispetto del copioso numero di abbonati che, legittimamente amanti del solo repertorio, hanno disertato il dittico di Sei e Novecento. E brave le due Anna, Danielle De Niese (sì, la Dido di Purcell) e Irene Ferrara. Nel 1961, prima rappresentazione in Italia alla Filarmonica romana, le due sorelle protagoniste erano Laura Betti e Carla Fracci, e la scena era assai più movimentata: un delizioso servizio in bianco e nero della Settimana Incom diffuso nei cinema, ora su youtube, informava che «Brecht fa sempre più breccia in Italia. Vola qualche sedia in palcoscenico, ma non arriva dalla platea. Il pubblico, molto sofisticato, ha accolto infatti con calorosi applausi l’originale spettacolo. Ma nel foyer si è sentito qualche distinto signore mormorare: però Nilla Pizzi è un’altra cosa…»

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Le foto sono di Andrea Ranzi FORNITE DALL’UFFICIO STAMPA