Hopper a Bologna una mostra celebra l’artista statunitense

E’ il pittore che meglio descrive la solitudine, l’introspezione, l’assenza. Qualcosa manca sempre nei suoi dipinti, ma poi se ci guardi bene in fondo noi siamo esattamente così: statici come gli oggetti, mutevoli come la natura. In sostanza ripetitivi. Se non fosse per la luce, per quel taglio di scuro o di chiaro che ci fa chiudere gli occhi oppure sgranarli all’infinito, resteremmo avvolti nel grigiore del nulla. E su quella luce Edward Hopper ha giocato la sua partita.

Con una sessantina di capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York custode di oltre 3000 opere dell’artista, tra dipinti, disegni e incisioni donate dalla vedova Josephine, la città di Bologna celebra Hopper con una mostra a Palazzo Fava aperta al pubblico fino 24 luglio. Ad organizzarla Arthemisia Group, con la Fondazione Carisbo e Genus Bononiae, che dedica al precursore della pop art sei sezioni tematiche e cronologiche: dalla sua formazione accademica, agli anni di studio a Parigi fino ai ritratti dell’ultimo periodo. “Il suo modo di guardare la realtà – afferma Luca Beatrice curatore della mostra insieme a barbara Haskell– è metafisico e, in certi casi, addirittura minimalista. Freddo ed essenziale, immediato e privo di giudizio”.

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Hopper a Bologna una mostra celebra l’artista statunitense

Cosa ci troverete

La mostra dà conto dell’intero arco temporale della produzione di Edward Hopper, dagli acquerelli parigini ai paesaggi e scorci cittadini degli anni ‘50 e ‘60, attraverso circa 60 opere tra cui celebri capolavori South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come lo studio per Girlie Show del 1941) che celebrano la mano di Hopper, superbo disegnatore: un percorso che attraversa la sua produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della pittura del Novecento.

Prestito eccezionale è il grande quadro intitolato Soir Bleu (ha una lunghezza di circa due metri), simbolo della solitudine e dell’alienazione umana, opera realizzata da Hopper nel 1914 a Parigi.

L’esposizione è curata da Barbara Haskell – curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art – in collaborazione con Luca Beatrice. Il Whitney Museum ha ospitato varie mostre dell’artista, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili del 1950, 1964 e 1980. Inoltre dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, il Museo ospita tutta l’eredità dell’artista: oltre 3.000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.

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Il selfie da Hopper

Vi siete mai chiesti come sarebbe entrare in un quadro di Hopper? Ora potete farlo, grazie ad una divertente installazione posizionata al piano superiore di Palazzo Fava. Attraverso un proiettore lunato su una sdraio il volto prenderà il posto nell’originale ritratto “Second Story Sunlight”. A questo punto il selfie sarà davvero d’autore.

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Siete a Bologna e volete vedere un’altra mostra? Qui le indicazioni per la rassegna Street Art

Some call him a storyteller, while others consider him the only artist who could capture the very instant – crystallized in time – of a scene, or the essence of a person. After all, it was Edward Hopper himself (1882-1967) – the best-known and most popular American artist of the 20th century, a man of few words, a retiring personality who loved the ocean and the horizon, and the clear light in his large studio – who explained his poetics: “If you could say it in words, there would be no reason to paint.” The exhibition opening on 25 March and running until 3 July 2016 at Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni in Bologna. It offers an chronological overview of Edward Hopper’s entire output, from his parisian watercolours to his landscapes and cityscapes from the ’50s and ’60s, with artworks on display, including celebrated masterpieces such South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), and Summer Interior (1909), as well as fascinating studies (like his 1941 study for Girlie Show) that are testaments to Hopper’s superb draughtsmanship.