• PATRIZIA FINUCCI GALLO

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«Grazie Mariotti!» La voce dalla sala s’alza nel silenzio della prima quando il maestro s’appresta a levare la bacchetta e attaccare il secondo atto del “Don Giovanni”. Scatta un applauso pieno, bello, accorato: il grazie di una città e di un pubblico, melomani e no, al neanche quarantenne Michele Mariotti che del Teatro Comunale di Bologna è stato direttore principale dal 2008 e direttore musicale dal 2014.

Undici anni durissimi nella storia del Comunale, tagli alle sovvenzioni, vicissitudini finanziarie e sindacali d’ogni tipo: con una quotidianità del genere che ti rotola addosso per anni ci va uno spirito saldo per continuare ad affinare il guizzo di un flauto o a ponderare il gioco di archi e legni fino a che l’esecuzione non è perfetta, portandosi intanto coro e orchestra in tournée a Tokyo, incidendo con loro dvd, trovando il tempo di dirigere in trasferta nei grandi teatri d’opera di mezzo mondo, dalla Scala al Metropolitan. Dicono che tornerà occasionalmente sul podio bolognese, forse già nel 2020, ma al momento nulla è scritto; comunque sia, anche in questo Don Giovanni della sua uscita dalla scena bolognese Mariotti dà il meglio di sé, nella ricerca di una esecuzione straordinariamente attenta alle più minute ed eleganti invenzioni della composizione mozartiana.

Non facilitato, va pur detto, da una regìa assai opinabile, pensata per Aix-en-Provence e giunta a Bologna a fine corsa, che sbriciola il fascino del capolavoro di Mozart e Da Ponte in una messa in scena appesantita da escamotages di cui sfugge il senso e senza quasi traccia di ciò che Kierkegaard vi leggeva come espressione del “demoniaco sensuale”. Senza scendere in classifiche, ottima è invece in generale la prova dei cantanti, pur sfavoriti anch’essi dalla messa in scena: con le due compagini che si alternano nelle rappresentazioni in modo equilibrato e con pari dignità, senza l’odioso sottinteso di cast di serie A e serie B che è talora norma in altri teatri.

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