di Roberto Di Caro

Piace a troppi, l’Andrea Chénier di Umberto Giordano, e la cosa può suonare persino irritante. Storia vecchia, intendiamoci: nel ben curato libretto della messa in scena al Comunale di Bologna, è riportata una stizzita recensione di Cesare Paglia sull’Avvenire d’Italia alla messa in scena bolognese del febbraio 1921: «L’opera più schifosamente fortunata di quella che da trent’anni si è sempre chiamata la giovane scuola melodrammatica italiana; l’opera che senza un motivo al mondo è sempre piaciuta a tutti i pubblici dell’universo; l’opera della musica che corre, corre, corre sempre; dal tremolo che non finisce mai; dalla musica più povera ma onesta che sia mai stata scritta venticinque anni fa da Umberto Giordano».

Segue, quasi a malincuore, l’elogio degli interpreti e della direzione d’orchestra e, con lieve stizza, l’elenco degli applausi ricevuti, le ovazioni, le chiamate. Alla prima del 14 ottobre non abbiamo tenuto il conto dei battimani, ma, senza stizza alcuna, potremmo scrivere lo stesso. Sul fatto che qui la musica di Giordano “corre, corre, corre sempre” pare difficile dar torto allo stroncatore d’antan, e in una certa misura ciò fissa dei limiti alla direzione, a meno di non voler stravolgere la partitura: l’ottima resa si deve dunque al «polso energico della direttrice Oksana Lyniv» (copyright Giuseppina La Face su MusicPaper, inclusi orchestra e coro di casa in grande spolvero). Encomiabile la sintonia, non scontata, del trio tenore-baritono-soprano (Gregory Kunde-Andrea Chénier, Roberto Frontali-Carlo Gérard, Erika Grimaldi-Maddalena) sul quale ruota quest’opera, peraltro piena di comprimari e di storie nella storia.

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La messa in scena, regia di Pier Francesco Maestrini. Rispettosa, innanzitutto: del libretto di Luigi Illica, infarcito di note di allestimento; e della storia narrata, romanzata ma vera, del poeta nel turbine della rivoluzione francese e del Terrore, dal primo quadro di una nobiltà inconsapevole del fatto che il suo mondo sta per finire in fiamme, al secondo della Parigi a ferro e fuoco sotto il Terrore, al Tribunale rivoluzionario e alla prigione di Saint-Lazaire.

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Non abbiamo obiezione alcuna (lo abbiamo scritto altre volte) anche a radicali stravolgimenti di un’opera, a condizione che abbiano un senso e un’intima coerenza, che suggeriscano una lettura in più e non un’attualizzazione banale e di maniera; ma sappiamo ben apprezzare una messa in scena fedele e ben congegnata come questa del Comunale, scenografia di Nicolas Boni, curata nei dettagli, nei fondali dipinti di un’Arcadia sull’orlo della presa della Bastiglia, nella complessa composizione delle scene a seguire che paiono dipinte da Jacques-Louis David, nei tableaux vivants che chiudono ciascuno dei quattro quadri, nei costumi di grande efficacia di Stefania Scaraggi, nelle luci di Daniele Naldi, nelle coreografie di Silvia Giordano.

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La tradizione, a volte, riserva belle sorprese.

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Foto di Andrea Ranzi fornite dall’ufficio stampa del Teatro Comunale di Bologna