SIMONA PARESCHI
Ammonticchiati là come giumenti,
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
(Edmondo De Amicis, Gli emigranti, 1882).
Partire per un lungo viaggio con l’idea di non tornare mai più. In questa mostra di Giovanni Cerri – curata da Barbara Vincenzi, ora esposta al Galata Museo del Mare di Genova fino al 14 aprile – due quadri si fronteggiano, quasi a parlarsi in un dialogo a distanza: un’immagine della lanterna di Genova, circondata dal suo porto, e il Ponte di San Francisco. Partenza e Arrivo e, nel mezzo, vuoto e attesa.
In questa personale, l’artista milanese espone un progetto realizzato nel 2023 in cui racconta l’epocale ondata migratoria degli italiani in America tra fine ‘800 e primi del ‘900.
Partivano da Genova per approdare negli Stati Uniti, a New York e poi a San Francisco: i genovesi, in particolare, arrivavano proprio in California.
Tra porti, ponti, moli, prue e visioni di città, questa esposizione ci mostra i tratti simbolici e determinanti del percorso accidentato e pieno di pericoli che si doveva affrontare per raggiungere una meta sconosciuta.
Come foto d’epoca, i colori di questo ciclo di dipinti sono il bianco e il nero, e sono realizzati con smalto ad acqua su fogli volutamente increspati e incollati su tela o su tavola.
Solo una tela di grandi dimensioni, appesa al muro come una vela, è a colori e si intitola Il viaggio. Al centro del dipinto colorato, dove il blu, il giallo, il rosso e il verde si mescolano come i riflessi sull’acqua delle barche dei pescatori ormeggiate nei porticcioli della Liguria, un grande rettangolo bianco richiama l’attenzione: è una porta (o una barriera?), in cui lo sguardo si sofferma a cercare oltre, per trovare un passaggio – forse un passaggio di stato – in un altro mondo, del quale non si intravvede nulla, ma che ognuno immagina in modo diverso, come uno specchio che ci mostra quello che si va cercando, ciò che i migranti cercavano nel loro viaggio: in un immaginario confuso, mitizzato, e con molti punti interrogativi.
Grandi speranze e un forte desiderio di riscatto spingevano alla partenza per un mondo migliore, ricco e pieno di possibilità; un viaggio che esigeva spirito di iniziativa e molto coraggio ma che, all’arrivo, si traduceva spesso in una esistenza al limite della marginalità, dove l’incapacità di comunicare in un’altra lingua destinava i contadini analfabeti del sud Italia ai quartieri più duri delle città americane, nei quali erano considerati comunque esseri inferiori.
La mancanza di integrazione, la nostalgia e il senso di estraneità provocavano in loro un dolore così grande da richiedere un rientro a casa. Talvolta, per curare quei disturbi mentali insorti a causa dei traumi dovuti allo sradicamento, venivano poi curati nei manicomi.
È una mostra, questa, che ricorda un passato non troppo lontano di miseria e di sofferenza. Un viaggio al limite della dignità umana, nelle modalità e nei patimenti della traversata, ma spesso anche nella vita che avrebbero vissuto ne “La terra promessa” che dà il titolo a diversi quadri: una famiglia che con le poche misere cose, probabilmente ben scelte alla partenza, osserva a distanza lo skyline della città americana nella quale sta per approdare; o un uomo solo che traporta un bagaglio sopra la sua testa verso un paesaggio inesistente, nel vuoto dell’orizzonte.
Questi dipinti sono arte, storia, ma anche documenti, nel senso letterale del termine: visite mediche, Inspection Card, certificati, fotografie, usati per realizzare collage che mettono in mostra la realtà vissuta dagli italiani di poche generazioni prima di noi. Italiani tra i quali c’era senz’altro anche quello zio d’America che tutti in fondo speriamo di avere ma che, in verità, mitizza la questione migratoria: per ognuno di questi, molti altri hanno avuto scarsa fortuna, vivendo di espedienti e di sacrifici.
L’America della rassegnazione
Ritratti di uomini donne e bambini, costretti in fila in attesa del proprio turno, per partire, o subire una visita medica che ne certificasse l’idoneità, con le valigie di cartone al seguito, con l’aria rassegnata e piena di fede allo stesso tempo: a volte i visi sono delineati al tratto, altre volte sono solo figure accennate che si ritagliano il loro spazio sullo sfondo indistinto.
Arrivi e partenze è tra i quadri più suggestivi della mostra: la pancia, cetacea e quasi pietrosa, della nave attraccata in porto accoglie i migranti che salgono e scendono in fila indiana dalla nave portando sopra la testa il proprio bagaglio, come delle portatrici d’acqua; ritagliati in silhouette nere, come tante formichine tenaci in attesa di essere laboriose.
Qui, il bianco e il nero nel cielo grigio colato, rimanda immediatamente – per chi lo conosce – ai colori e alle piogge nel porto industriale, sporco e puzzolente di oli, ferro e sostanze chimiche.
Commovente è il dipinto L’America!.
Nella vista dal basso verso l’alto dalla prua della nave i migranti sventolano i cappelli, salutano la Statua della Libertà che annuncia loro l’arrivo: li accoglie in un primo momento con la sua monumentale promessa ma, a guardare con più attenzione, la testa della statua non mostra alcun viso, non uno sguardo, e subito la promessa diventa posticcia, un’attrazione da parco a tema come un vero mostro, Godzilla o un dinosauro colossale e minaccioso: “attenzione perché ti mangio”.
E da Ellis Island, si doveva comunque passare.
Due quadri – tre ritratti – mostrano la crudeltà che si riservava allo straniero, al migrante, che per definizione è comunque colpevole perché diverso.
Il ritratto di (Nick & Bart) Sacco e Vanzetti, attivisti & anarchici: Ferdinando Nicola Sacco, operaio, il primo, e Bartolomeo Vanzetti, venditore ambulante, il secondo, accusati di due omicidi e giustiziati sulla sedia elettrica nel 1927, poi dichiarati innocenti solo cinquant’anni dopo dal Governatore Michael Dukakis.
E quello di George Montone. La storia di Montone, figlio di migranti liguri di Fontanarossa, è singolare e tragica al contempo. Divenuto sindaco di San Francisco, nel 1976, viene brutalmente assassinato con una scarica di proiettili dall’ex consigliere comunale Dan White contrario alla sua politica progressista.
Insieme a Harvey Milk, Montone contribuì a rendere la sua città accogliente per le minoranze, ad aiutare le donne ad ottenere i propri diritti, e appoggiò le battaglie in favore della libertà degli omosessuali.
Oggi a San Francisco esiste il Montone Center che ricorda l’importanza di quest’uomo nella storia della città e della sua cultura politica.
Inevitabile, visitando la mostra, il pensiero rimanda alla contemporaneità. Una differenza importante è nella diversa adesione al fenomeno: un tempo accettato e regolamentato, quasi incentivato e accompagnato – pur sempre al limite della dignità umana – mentre oggi è ostacolato dalla paura dell’altro.
Le navi della nostra emigrazione sono oggi sostituite da barconi marcescenti o da gommoni bucati, riempiti fino allo stremo di esseri umani. Se prima l’incognita poteva essere: cosa mai troverò all’arrivo?, oggi l’incognita è proprio l’arrivo. I migranti vengono, fin troppo spesso, “traditi da un mercante menzognero”.
Giovanni Cerri è nato nel 1969 a Milano, dove vive e lavora. Ha iniziato a esporre nel 1987 e da allora ha tenuto mostre in Italia e all’estero, esponendo a Berlino, Francoforte sul Meno, Colonia, Stoccarda, Copenaghen, Parigi, Rabat, San Francisco, Varsavia, Toronto.
Nel 2021 è con una personale al Museo Italo Americano di San Francisco, la mostra “2020: Milan in the hour of the wolf”, pensata e realizzata durante la pandemia. Nel 2023, con l’artista Luo Qi, espone al Ningbo Art Museum in Cina. Sue opere figurano in collezioni pubbliche e private italiane ed estere, da San Francisco alla Cina.
Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, “Ultima frontiera” per la Casa Editrice Le Lettere.
La mostra è stata resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo Italo Americano of San Francisco e al sostegno di Valla Morrison & Schachne Inc. PC, Mediafilm, Officine Mara, ARAG e Axa e Gec &co intermediazioni assicurative. Durante la mostra verrà mostrato il video che il regista Mauro Conciatori ha girato nello studio di Giovanni Cerri sul progetto della mostra al Galata Museo del Mare.
Giovanni Cerri
l’Italia che partiva. Via mare verso L’America
Mostra al Galata Museo del Mare, Genova dal 14 Marzo al 14 Aprile 2024
* Le foto delle opere sono state fornite gentilmente dall’ufficio stampa De Angelis Press