• Roberto Di Caro

Intanto, vivaddio, un’eroina pucciniana che non muore di stenti come Mimì nella Bohème, di sete nel deserto come Manon Lescaut, per sfuggire al supplizio come la Liù di Turandot, di dolore per il tradimento subìto come l’Anna del giovanile Le Villi, né ingannata e suicida come ToscaButterfly: ché a Puccini le donne piacevano assai, ma non le amava davvero. La Minnie di La fanciulla del west (prima di stagione al Comunale Nouveau di Bologna il 24 gennaio, a seguire le rappresentazioni del 26, 28, 29 e 30, per l’egregia direzione di Riccardo Frizza al suo esordio in quest’opera), è invece, nello scenario della corsa all’oro in California a metà Ottocento, un personaggio disegnato con sottigliezza nella sua ambivalenza, il che rende assai complessa e impegnativa la resa, tanto canora quanto attoriale, del soprano che ne deve dar conto: rimarchevole, dunque, l’interpretazione di Carmen Giannattasio, al Comunale già interprete di una acclamata Tosca. Ottime anche le prestazioni del tenore Angelo Villari nel ruolo di Dick Johson alias il bandito Ramerrez, del baritono Claudio Sgura in quello di Jack Rance lo sceriffo, dei comprimari e del coro diretto da Gea Garatti Ansini.

Donna determinata e protofemminista, rispettata e amata confidente dalla banda di minatori che sono gli avventori del suo saloon La Polka, Minnie è capace di resistere alle avances dello sceriffo Rance, di barare a poker nella partita dove la posta in gioco è la salvezza di Johnson-Ramerrez e in ultimo, quando il suo amato ha già la corda al collo, di convincere i minatori a liberarlo e a lasciarlo andare con lei verso un futuro di redenzione; ma, quasi a contrappasso, a tessere l’animo di Minnie sono una fragilità di fondo e una purezza di fronte al desiderio d’amore che a ogni istante la potrebbero perdere. Sarà che i veri melomani non vanno pazzi per il lieto fine, figuriamoci con il bandito pentito e redento e neanche una bella impiccagione stile western alla John Wayne, sarà che per l’unica aria memorabile, Ch’ella mi creda libero, tocca aspettare la metà del terz’atto, la Fanciulla (prima rappresentazione a New York al Metropolitan il 10 dicembre 1910 con Arturo Toscanini sul podio e Enrico Caruso-Johnson/Ramerrez, titolo The girl of the golden west come il testo teatrale di David Belasco da cui è tratta) non è mai stata tra le opere pucciniane più apprezzate, e men che meno rappresentate: anche a Bologna, dove esordì nel 1928, non era stata più messa in scena dal 1989, accolta allora con critiche sferzanti per gli interpreti, nonostante il plauso per la regia di Sylvano Bussotti e la direzione di Daniel Oren.

Lo scozzese Paul Curran rivendica la sua scelta di una regìa che comunica realismo, «creando una atmosfera in cui rudi minatori e personaggi in conflitto sembrino autentici piuttosto che romanticizzati»: a cominciare da scene e costumi di Gary McCann e luci di Daniele Naldi, abbastanza (e saggiamente) tradizionali, legno per il saloon e la casetta di Minnie e un guizzo di astrazione per la foresta del terzo atto. E, visto che di un western in piena regola si tratta, genere nato al cinema nel 1903, sette anni prima della Fanciulla, Curran rimanda a una sfilza di film e di serie tv contemporanee che il genere riprendono e riattualizzano, dislocandolo magari nello spazio della fantascienza. Come a dire che, a dispetto della scarsa passione del pubblico per questa “opera americana” di Puccini, essa «è moderna e potentemente risonante ancora oggi».

Minnie (Carmen Giannattasio) e Dick Johnson (Angelo Villari)_ TCBO_2025-01-19_La_fanciulla_del_West_Antepiano_D4_0989_©Andrea-Ranzi

TCBO_2025-01-19_La_fanciulla_del_West_Antepiano_D4_1245_©Andrea-RanziDick Johnson (Angelo Villari)_TCBO_2025-01-19_La_fanciulla_del_West_Antepiano_D4_1125_©Andrea-RanziTCBO_2025-01-19_La_fanciulla_del_West_Antepiano_D4_1214_©Andrea-Ranzi

Ph di Andrea Ranzi concesse dall’ufficio stampa Teatro Comunale di Bologna