• Patrizia Finucci Gallo

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LA FILLE DU RÉGIMENT INAUGURA LA STAGIONE DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

Ha tutto dell’operetta, “La fille du régiment”, che venerdì 9 novembre ha inaugurato al meglio la stagione del Teatro Comunale di Bologna: tutto, salvo il fatto che come genere musicale l’operetta ancora non esisteva in quel 1840 in cui la mandò in scena nel suo soggiorno parigino un Gaetano Donizetti segnato sì da drammi familiari ma ormai in tutta Europa venerato per “L’elisir d’amore”, la “Lucia di Lammermoor”, vari quartetti e un’altra sessantina di lavori. Ma la luccicante vivacità e la leggerezza di questa opéra-comique, come tradizione vuole si continui a definirla, non sono da meno di quanto nei decenni appresso regaleranno un Offenbach o un Franz Léhar.

Se la prima scena è sotto le bombe col nemico che avanza, è solo perché l’istante appresso non si sa come ma la guerra è finita, e tutti cominciano a ballare di gioia. Una spensierata allegria esplode appena può a un qualunque pur improbabile pretesto, per intima necessità, al modo in cui ogni volta che la protagonista Marie attacca la languida romanza a Venere il canto subito sbotta e tracima nella marcetta del Ventunesimo dov’è cresciuta, ché lei come il pubblico “ai sospiri della bella preferisce il tamburo”. La trama è incurante della logica, ma nessuno scoppia a ridere per un sillogismo. Elementari, quasi impalpabili, sono le psicologie dei personaggi, ma che importa quando ti godi un quadro dopo l’altro musica e canto e coreografie e favola della vivandiera che si scopre marchesina ma sceglie l’amore del soldatino e alla fine ottiene tutto, l’amore, il titolo, la mamma ritrovata e i vecchi paterni amici del reggimento nell’“arrivano i nostri” di un happy end senza ombre?

Contro ogni apparenza, è tutt’altro che facile mettere in scena un lavoro come La Fille du Régiment. A merito della regia di Emilio Sagi e della direzione d’orchestra di Yves Abel, tenere in equilibrio una siffatta macchina scenica e musicale è esercizio di fino dove non ti puoi permettere di puntare su questo o quell’elemento a scapito di altri, meno che mai di ricorrere all’escamotage di sgangherate attualizzazioni: se puoi usare, in questa rappresentazione come già in quella del 2004 ripresa anche nelle scenografie dei due atti, una divisa di metà Novecento invece di un pennacchio d’Ottocento è perché la storia è senza tempo, letteralmente fuori dal tempo, fresco giocoso divertissement.
Perché la macchina funzioni, bisogna naturalmente che i singoli elementi diano il meglio. Rimarchiamo dunque la fresca e robusta interpretazione dei due protagonisti, Hasmik Torosyan nella parte di Marie e Maxim Mironov in quella di Tonio; l’abilità anche attoriale di Claudia Marchi-Marquise de Berkenfield e Federico Longhi-Sulpice il sergente gentile e paterno; e gli altri non son da meno.

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La fille du Régiment, opera di Gaetano Doninzetti. Regia di Emilio Sagi, direzione d’orchestra di Yves Abel. Fino al 15 novembre al Teatro Comunale di Bologna

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