• ROBERTO DI CARO

Automi, come novecenteschi Ballets mécaniques o settecentesche anatomies mouvantes di Vaucanson, sulla schiena la chiave per caricarli e farli muovere, addosso fantasiose crinoline e bigodini le servitrici intorno a Cenerentola, tutine azzurre e chiome bianche i paggi di Don Ramiro il Principe, che paiono gli Andoriani di Star Trek. Automi perché automatici e meccanici risultano i gesti e le azioni in un mondo aspro, insensibile e crudele.

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Il che è bizzarro in un “dramma giocoso” (prima rappresentazione a Roma nel 1817) che, per sovrammercato, reca a margine in originale “ossia la bontà in trionfo”. E che, nel libretto (non eccelso) di Jacopo Ferretti, di bontà e perdono fa spreco in arie e recitatativi. Ma tale è la lettura che ne ha dato Emma Dante, nel 2016 per il Teatro dell’Opera di Roma, produzione ora ripresa da Federico Gagliardi al Comunale di Bologna. Voleva, la regista, la messinscena di «un giocattolo disturbante, come un grande carillon della paura, come fosse un incubo», e nel rutilante Rossini ha letto malinconia e depressione. Perfidia non saprei, la sua, disincanto di certo. Dichiarato svelamento e denuncia (come nelle sue corde, al cinema, a teatro, all’opera) di una condizione di degrado della donna, Cenerentola non solo vessata da matrigna e sorellastre ma messa alla catena dal patrigno: oggi, dice Emma Dante, sarebbe «una rifugiata, una diversa, non integrata perché non assomiglia al mondo, a una società egoista e individualista».

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Pulita e sfrondata la scenografia di Carmine Maringola, e più non serviva. Di grande impatto i costumi di Vanessa Sannino e le coreografie di Manuela Lo Sicco, che la dichiarata ispirazione pop surrealista della messinscena dantiana rendono, per usare un distico del Ferretti, “in punto e virgola”. Molti gli applausi alla prima di giovedì 16 dicembre: per il trentaquattrenne Nikolas Nagële, alla sua terza direzione rossiniana, e agli interpreti, Chiara Amarù-Cenerentola, Antonino Siragusa-Don Ramiro, Nicola Alaimo-Dandini, Vincenzo Taormina-Don Magnifico, Aloisa Aisenberg-Tisbe, Sonia Ciani-Clorinda e Gabriele Sagona-Alidoro.

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